La Commissione europea ha proposto un grande piano di rilancio economico e sociale per superare la crisi del Covid-19. Un piano fondato sul superamento delle diseguaglianze, esasperate dall’emergenza, e su nuove direttrici economiche fondate sull’economia verde e sull’innovazione. Un grande progetto di rilancio che assume il principio che nessuno deve essere lasciato indietro.

Lo stesso principio richiamato spesso anche dal governo italiano. Questo vuol dire che superare l’emergenza non può significare tornare alla normalità di prima, a una società con grandi diseguaglianze economiche e sociali, mentre proprio la crisi del virus non solo ha esasperato queste diseguaglianze, ma ha anche avuto l’effetto di aumentarle provocando più povertà e disoccupazione.

Chi dice che se una società lascia qualcuno indietro non è una società giusta e civile guarda ai 5 milioni di poveri, ai 13 milioni di inattivi e ai 3 milioni di disoccupati, agli immigrati sfruttati nei campi e poi gettati, ma deve guardare alla comunità rom e sinta come il paradigma per affermare nel concreto questo principio per due ragioni.

Rom e sinti subiscono l’impatto più drammatico sulle condizioni economiche. Lavoratori e imprenditori rom e sinti, molti dei quali attivi nell’economia informale, in posti di lavoro scarsamente qualificati e a basso salario, ma anche inseriti in settori produttivi significativi come lo spettacolo viaggiante, l’arte e la cultura, non sono inclusi nei piani di ripresa economica, basta guardare la mancanza di sostegno per la sopravvivenza di settori con una lunga tradizione e una funzione sociale importante come lo spettacolo viaggiante.

Ma soprattutto sulla strada della comunità rom e sinta ci sono macigni che ne rendono la vita più dura, molto più dura delle altre comunità, spesso impossibile. La montagna dalla quale si staccano questi macigni si chiama antiziganismo, un sentimento di ostilità e repulsione nei confronti di un intero popolo, che, esattamente come l’antisemitismo, costruisce uno stigma che lo marchia per secoli rendendo possibile, e quindi accettabile, nel corso del tempo qualunque atto di violenza verbale e fisica, qualunque forma di esclusione sociale, fino ai progrom e allo sterminio di massa, al genocidio. Nel caso di rom e sinti neppure l’orrore dei campi di sterminio nazifascisti ha cancellato questo sentimento radicato nel profondo della coscienza collettiva coltivato da coloro che trasformano il proprio malessere in odio per l’altro e stimolata dai professionisti dell’uso politico di quest’odio.

Il riflesso di questa situazione è drammatico per la possibilità concreta di rom e sinti nell’esercitare quelli che sono per tutti i diritti fondamentali: il diritto al lavoro, all’istruzione, alla casa e anche di fronte a quella istituzione che deve garantire a ogni cittadino un equo, giusto trattamento: la legge.

Nell’immediato cerchiamo di affrontare le conseguenze attuali dell’emergenza sostenendo come possiamo le comunità anche aiutandole a capire come accedere alle diverse misure governative con un call center, ma soprattutto cercando un’uscita strategica dalla crisi. Proviamo quindi ad affrontare questi temi proprio nella loro concretezza con ricerche sul vissuto di rom e sinti, con interventi e riflessioni per capire dove stanno i punti critici e dove stanno i mezzi per superarli stabilmente per rendere rom e sinti cittadini con stessi diritti e stessi doveri, membri della comunità rispettati e accettati con la loro identità e cultura.

Kethane quindi avvia un percorso aperto a contributi e riflessioni del mondo rom e sinto e del mondo non rom, di tutti coloro che credono che si può rompere il muro che divide questi due mondi, semplicemente perché non ci sono ragioni che sostengano questo muro e che vivere bene insieme si può scambiandoci sguardi, incontri, conoscenze, culture.

Iniziamo affrontando la questione apparentemente la più lontana dalla concretezza della vita quotidiana, forse più difficile anche dal punto di vista di rom e sinti, ma che tuttavia ne condiziona la vita materiale. La nostra Costituzione dice che “Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ma davvero la legge è uguale per tutti, anche per lo “zingaro”? Che fondamento ha il luogo comune dello “zingaro ladro” coltivato dai dispensatori d’odio? Che rapporto c’è tra rom e sinti e la legalità? Esiste un’”aggravante rom” nella applicazione delle leggi, nel trattamento giudiziario e carcerario?

Cominciamo da questa ultima domanda che tocca uno dei diritti fondamentali di un cittadino: quello di entrare in carcere e di uscirne, se non redendo, almeno vivo. E cominciamo accogliendo il racconto di una morte oscura, ringraziando l’autrice che ci consente di raccontare questa storia pubblicando il suo articolo uscito su TPI.it il 26 Maggio scorso.