- Movimento Kethane
IL CAMPO
Erano giornate piene di sole e di uomini nudi.
La corsa finita, un tempo che sapeva d’estate ma anche d’inverno.
Aperitivi a metà, viaggi interrotti, amici lontani, uomini ancora affannati e senza tempo.
Il freddo era ormai entrato e tutti si abituarono, chi prima chi dopo.
Ormai è tardi, disse qualcuno.
Dove sono i tuoi occhi ? E le tue mani?
Nessuno rispose.
C’erano solo vasche blu piene di acqua, intorno donne e bambini lavavano lenzuola e bucato. Profumi freschi, ma fuori tanto gelo sulle labbra nere e senza fiato.
Erano giorni di corse senza meta, di pasta al sugo e di frittura per tutti. Ma poi la paura, l’inquietudine della vergogna, della colpa delle più grandi colpe. Nessuno vedeva quella gente e nessuno la sentiva.
Ma loro amavano ancora, seppur non ancora riconosciuti. Vivevano, suonavano e facevano bei sogni. Sogni liberi.
Qualcuno disse loro: non avete paura?
Loro risposero: no, noi eravamo già pronti, noi resistiamo.
Non c’era la vita per le strade delle città d’Italia, ma in questi angoli dimenticati di luce blu e gialla, c’erano le voci dei bambini, i pettegolezzi delle donne e le urla di rabbia degli uomini. Si proprio lì la vita scorreva ancora.
Vivevano di vento, di sole, di pioggia, di sguardi stanchi, semplici e malinconici. Sono sicura di aver incontrato lì la felicità. Sono sicura di aver respirato la vita solo in quegli angoli di mondo .
Lì c’è ancora posto per vivere e questo sarà il balsamo di questa guerra.
Non eravamo pronti, non si è mai pronti, ma c’è sempre una soluzione in un tramonto.
La gente improvvisamente divenne piccola, tutti uguali, tutti contro un unico nemico.
Dimenticarono gli zingari .
Eppure quelli rimasero lì, con il cuore pieno di gioia e di speranza. Forse adesso tutti vorrebbero vivere lì? Proprio lì, dove non esistono ascensori e bistrot.
Nessuno si accorse che proprio quelli avevano l’ultima chiave del mazzo per aprire la porta.
(di Maria Consuelo Abdel Hafiz Mohamed Ramadan)