Era il 15 maggio del 1944 nel campo di Auschwitz-Birkenau, ricorda Tadeusz Joachimowski, deportato politico polacco in quello stesso lager: “Il comando del campo di concentramento di Auschwitz decide di liquidare il giorno seguente gli internati nel campo per famiglie BIIe di Birkenau, nel quale si trovano circa 6.000 uomini, donne e bambini. L’allora Lagerführer del settore BIIe, Paul Bonigut, che si oppone a questa decisione, dà di nascosto la notizia agli zingari, confidando con ciò che essi non si consegnino vivi”.[1]

Nel tardo pomeriggio del 16 maggio 1944 le SS si recarono al campo BIIe per liquidare tutti i prigionieri della categoria “zingari”, racconta lo stesso prigioniero:

“Verso le 19, nel campo per famiglie zingare BII di Birkenau è ordinata la Lagersperre (la serrata). Davanti al campo si fermano alcuni autocarri da cui scendono SS con fucili mitragliatori e lo circondano. Il comandante dell’operazione ordina agli zingari di abbandonare gli alloggi. Dato che sono stati preavvisati, gli zingari, armati di coltelli, vanghe, leve di ferro e pietre, non lasciano le baracche. Sorpresi, i militi delle SS si recano dal comandante dell’operazione che si trova nella camerata di capoblocco. Dopo una consultazione, con un fischio viene dato alle SS delle squadre di scorta, che hanno circondato le baracche, il segnale di ritirarsi dalle postazioni. Le SS lasciano il campo BIIe. Il primo tentativo di liquidare il campo è fallito”.[2]

Per la ricostruzione storica sono importanti i documenti e le pagine del Kalendarium di Auschwitz-Birkenau (curato da Danuta Czech e da qualche anno disponibile anche in lingua italiana) sono uno strumento fondamentale: il racconto di quel 16 maggio del 1944 è da sempre riportato nel volume, ma da solo un decennio vi si è stata posta l’attenzione necessaria. Quella fu un avvenimento di rivolta, probabilmente il primo, all’interno del campo di sterminio di Biekenau. Fu il segno della dignità, il ritorno a percepirsi persone, ad affermare il proprio diritto alla vita: i rom ed i sinti, ci dirà negli anni Duemila l’ex deportato sinto, Hugo Hollenreiner[3], avevano reagito per la difesa in particolare della vita dei propri figli. Erano in un settore del campo in cui, per motivi legati alle sperimentazioni eugenetiche di Josef Mengele, vivevano insieme alle proprie famiglie. In quel campo nascevano anche dei bimbi ma, testimonia Hermann Langbein, sopravvivevano solo pochi giorni ed i loro corpi erano tra quelli dei morti accatastati nelle vicinanze delle baracche.

Quel giorno della rivolta, ci documenta la registrazione di un numero di matricola, nasceva Edward Weiss, un bambino sinto; il suo numero era Z9910 (dove Z stava per zingaro). Senza la resistenza non sarebbe neppure venuto alla luce una lotta per la vita che simbolicamente assume le connotazioni di questa nuova nascita. Non ne conosciamo il destino. Sappiamo però che le guardie si ritirarono, ma tre mesi più tardi, nel pomeriggio del 1 agosto 1944, un convoglio partiva da Birkenau diretto ad altri lager: portava prigionieri rom e sinti ancora in forze verso altri luoghi di sfruttamento di mano d’opera schiava. Vi erano stipati anche Hugo Hollenreiner e Otto Rosenberg che saranno due testimoni diretti della persecuzione di rom e sinti durante il nazismo. Otto Rosenberg[4] si staccò in quel momento dalle decine di persone che componevano la propria famiglia allargata. La notte del 2 agosto 1944, uomini ormai ridotti a scheletri, donne e bambini rimasti nel settore BIIe di Birkenau, furono condotti alla camera a gas. La liquidazione totale fu portata a termine, morirono 4000 persone in una sola notte. Luigi Sagi, ebreo ed ex deportato di Auschwitz ha testimoniato: “Quella mattina [la mattina dopo la liquidazione del campo degli zingari] capii che cosa fosse lo sterminio, sapevo di essere in un campo di sterminio, ma quella mattina mi resi conto che erano scomparse migliaia di persone in una sola notte”.

Cosa resta oggi del 16 maggio 1944? La forza di testimoniare attivamente il proprio diritto a vivere, con le azioni, con l’attivismo, con la testimonianza quotidiana, ricordando che il passato non si cambia, ma il presente è possibile cambiarlo, altrimenti guardare oggi ad Auschwitz non avrebbe alcun senso.

Michele Andreola e Luca Bravi

Link all’intervista di Michele Andreola

[1] D. Czech, Kalendarium. Gli avvenimenti del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau 1939-1945, Mimesis, Milano, 2006, 2006

[2] Ibidem

[3] H. Hollenreiner, Das Zeugnis eines Uberlebenden Sinto und seine Perspektiven fur eine bildungssensible Erinnerungskultur, Kohlhammer, Stuttgart, 2014

[4] O. Rosenberg, La lente focale, Marsilio, Venezia, 2000